Il terremoto
Basta la parola “terremoto” per evocare immagini di rovine, di morte e distruzione.
Ma si tratta di sensazioni emotive che riducono il fenomeno al suo aspetto violento nei confronti dell’uomo, vittima indifesa delle forze della natura.
Il terremoto in realtà produce danni di ben più ampie proporzioni e conseguenze molto più preoccupanti, infatti esso non minaccia solo la vita dell’uomo e l’integrità delle sue opere e dell’ambiente in cui vive, ma interessa anche l’economia e l’organizzazione sociale di una intera comunità.
Inoltre, come tutte le calamità naturale, incide sull’equilibrio mentale delle persone coinvolte nella tragedia, creando in esse un disagio psichico.
Il terremoto nella storia
Nel passato questo disagio ha portato alla superstizione, a credenze e rituali magici che richiedevano ogni sorta di penitenze e sacrifici umani anche cruenti. Ciò deriva dal fatto che l’uomo, in modo istintivo, ripone la massima fiducia nella solidità della terra su cui poggia i piedi, salvo poi dovere constatare di persona che la terraferma non è poi così ferma come egli aveva sempre creduto.
Con l’avvento del Cristianesimo le cose non cambiarono, anzi peggiorarono rafforzando l’alone di mistero e di magia che accompagnava il fenomeno. Le cronache parlano di terremoti che seguirono al martirio di santi durante le persecuzioni dei cristiani e si legge in scritti medioevali che la morte e resurrezione di Gesù Cristo furono accompagnate da due violenti terremoti. Nei Vangeli la stessa fine del mondo è preannunciata da profezie apocalittiche collegate a sconvolgimenti tellurici.
Per secoli gli scienziati hanno cercato di fare uscire questo fenomeno dal dominio degli indovini e degli astrologi per includerlo nell’ordine naturale delle cose, ma la spiegazione scientifica del terremoto è una conquista recente che si è potuta realizzare grazie all’uso di strumenti con cui i geologi sono riusciti a misurare i lenti movimenti cui è soggetta la crosta terrestre.
Le scoperte sono state sconcertanti: gli oceani si aprono e si chiudono, i continenti vanno alla deriva separandosi da una parte e scontrandosi dall’altra in titaniche collisioni.
Il primo terremoto di cui si hanno ampie testimonianze è quello che colpì Sparta nel 464 a.C. Gli autori antichi parlano di 20.000 morti nella zona, ma potrebbe essere una cifra esagerata, visto che allora la densità di popolazione non era molto alta.
Ma i terremoti hanno sempre accompagnato l’umanità e le testimonianze storiche di simili disastri abbondano: come quello che colpì l’Iran nell’856 d.C. nella zona dell’allora capitale Damgham, provocando circa 200.000 morti, o quello che distrusse Aleppo, in Siria, nel 1138 e che secondo i contemporanei uccise più di 200.000 persone nella zona, o il terremoto di Antiochia, del 526 d.C. La città ora Antakya, in Turchia, con i suoi 500.000 abitanti era una delle più grandi del mondo antico, e il terremoto a quanto sembra uccise un terzo della popolazione.
Molte città antiche, con le loro case ammassate l’una sull’altra, l’assenza di qualsiasi pianificazione edilizia, la mancanza di ogni tipo di progettazione antisismica e la facilità con cui potevano svilupparsi incendi per la presenza del fuoco per cucinare e scaldarsi, erano una trappola mortale nel caso di eventi sismici.
Il terremoto di Lisbona del 1755, che distrusse la città e provocò decine di migliaia di morti, fu uno dei primi ad essere studiato dalla nascente sismologia. E’ noto inoltre anche perché Voltaire ed altri illuministi ne scrissero per chiedersi che senso avesse credere all’idea della provvidenza divina di fronte a una simile devastazione.
Il più grave terremoto a tutt’oggi conosciuto è quello che colpì la Cina nel 1556, nella regione dello Shaanxi, anche allora una zona intensamente popolata, che sembra abbia causato la morte di oltre 800.000 persone.
Lo tsunami dell’Oceano Indiano del 2004, conseguenza di un terremoto al largo delle coste dell’Indonesia, ha provocato 250.000 morti. La sua magnitudo di 9.1 gradi Richter è una delle più alte mai registrate insieme a quella di un altro terremoto in Cina del 1976, nella regione di Tangshan, che provocò anch’esso più di 250.000 morti.
Ma la magnitudine in gradi Richter di un terremoto non implica necessariamente un’alta mortalità, questa dipende soprattutto dalla densità di popolazione della zona e dalla buona fattura delle abitazioni.
Il terremoto più forte mai registrato, quello di Valdivia in Cile nel 1960, provocò circa 5000 morti, che non sono pochi, ma la sua magnitudo di 9.5 gradi Richter avrebbe provocato un catastrofe ben peggiore se fosse avvenuto nelle vicinanze di una grande città.
Il peggior terremoto mai avvenuto in Italia, per distruzione e numero di morti, è stato quello di Messina e Reggio Calabria, che nel 1908 rase al suolo le due città e causò un numero enorme di vittime, più di 150.000. Allora, come oggi ad Haiti, le case e gli edifici pubblici non erano certamente costruiti secondo norme antisismiche e quindi i crolli furono devastanti. Non esisteva inoltre nessun genere di protezione civile, tanto che i primi soccorsi dal resto d’Italia arrivarono dopo una settimana.
La nascita dell’ingegneria antisismica
La nascita di una sorta di ingegneria antisismica degli edifici si deve agli Inca, il famoso popolo andino dell’attuale Perù, che costruiva con accorgimenti anti sismici già più di 1000 anni fa.
Ma dopo tante tragedie apparve chiara la necessità di trovare soluzioni sempre migliori nella realizzazioni degli edifici. Quindi si cerco di studiare con sempre maggiore efficacia il fenomeno sismico per trovare soluzioni che consentissero di salvaguardare il patrimonio edilizio e soprattutto le vite umane.
Inizialmente si cercarono soluzioni empiriche, basate su quello che erano le intuizioni di “capi mastro” che osservando gli edifici preservati dopo un terremoto, ne cercavano le caratteristiche che gli avevano consentito di resistere alle scosse telluriche. Certamente non sempre queste intuizioni erano giuste, non sempre applicabili indiscriminatamente ad ogni edificio, non sempre sufficienti.
Nel tempo si delineo la necessità di redigere delle norme comuni che prescrivessero le modalità costruttive ed i criteri per rendere più sicuri gli edifici.
In Italia i provvedimenti più antichi sono probabilmente quelli del 28 marzo 1784, emanati dal Governo Borbonico dopo il terremoto che devastò la Calabria nel 1783.
A questi si susseguirono altri regolamenti: regolamento pontificio edilizio per la città di Norcia, 1860; prescrizioni edilizie per l’isola d’Ischia, 1883; norme per la costruzione ed il restauro degli edifici nei comuni liguri danneggiati dal terremoto del 22 febbraio 1887; norme per la costruzione ed il restauro degli edifici danneggiati dal terremoto nelle province calabresi ed in quella di Messina del 1906. Tuttavia questi si limitavano a prescrizioni costruttive e limitazioni dell’altezza degli edifici.
Soltanto dopo il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 venne promulgata una norma (R.D. 18 aprile 1909, n. 193) che prevedeva esplicitamente la necessità di tenere conto nei calcoli di stabilità e resistenza delle costruzioni di “azioni dinamiche dovute al moto sismico ondulatorio, rappresentandole con accelerazioni applicate alle masse del fabbricato”.
Ma l’entità delle massime accelerazioni prodotte da un terremoto era, all’epoca, oggetto di discussione non essendoci, di fatto, criteri per la determinazione. Furono proposti alcuni valori di accelerazione da vari studiosi (il più famoso era il giapponese Omori che prevedeva un’accelerazione laterale di 4 m/s2 indipendentemente dal periodo proprio), ma apparvero subito eccessivi perché portavano a dimensionamenti delle strutture onerose non tenendo conto del comportamento non lineare della struttura.
Anche i successivi codici sviluppati contenevano principalmente prescrizioni riguardanti dettagli strutturali e regole di costruzione e in qualche modo la richiesta di applicazione in fase di progetto di forze di inerzia laterali. Solitamente, in analogia con quanto fatto per il vento, veniva richiesto di applicare alla struttura forze orizzontali pari a circa il 10% del peso dell’edificio, indipendentemente dal periodo proprio della struttura.
Questo approccio fu sostanzialmente mantenuto anche se le conoscenze circa il significato delle caratteristiche dinamiche strutturali progredivano conducendo all’introduzione di forze laterali dipendenti dal periodo.
E si continuò in tal senso perfino quando era ormai diventato chiaro che molte strutture erano in grado di sopportare terremoti in grado di indurre forze di inerzia molte volte superiori a quelle corrispondenti alla loro resistenza strutturale prodotta da una semplice risposta lineare.
Questa apparente inconsistenza fu spiegata dopo che furono realizzate le prime analisi dinamiche non lineari e fu introdotto il concetto di duttilità per spiegare l’anomalia della sopravvivenza di una struttura pur con una resistenza insufficiente. Negli anni settanta furono sviluppate relazioni tra duttilità e fattore di riduzione della forza introducendo i ben noti concetti di “uguale spostamento”, “uguale energia” e “uguale forza”, che apparvero appropriati per stimare la reale risposta della struttura in funzione della risposta lineare e del periodo di vibrazione.
In sostanza fin da allora erano stati compresi i concetti base dell’analisi sismica: comportamento elastico lineare per terremoti deboli, comportamento non lineare per terremoti più forti, uso di forze statiche per simulare gli effetti del reale comportamento dinamico.
Ma soltanto dopo la metà del ventesimo secolo il progresso teorico e la disponibilità di mezzi di calcolo più potenti consentirono una migliore comprensione, anche dal punto di vista numerico, del problema. L’analisi della risposta sismica di oscillatori elastoplastici mostrò che una progettazione basata su un’analisi lineare con forze ridotte può garantire una sufficiente sicurezza nei confronti del collasso solo se la struttura possiede un’adeguata duttilità.
La progettazione antisismica è ad oggi ancora basata sul concetto di forza (e quindi di accelerazione) piuttosto che di spostamento, principalmente come conseguenza del percorso storico attraverso cui si è giunti alla comprensione della dinamica strutturale, in particolare della risposta delle strutture all’azione sismica, e all’introduzione di progressive modifiche e miglioramenti nelle normative sismiche.
Da allora la duttilità è considerata il parametro fondamentale per stimare in modo appropriato il fattore di riduzione della forza, da usare per determinare il livello delle forze laterali. La ricerca dedicò quindi molto impegno alla determinazione della capacità di duttilità disponibile nei differenti sistemi strutturali, realizzando numerosi studi sperimentali e numerici per determinare la loro effettiva capacità di spostamento.
Ad oggi è chiaro che questo approccio assume implicitamente la capacità di spostamento e non di forza, come base per la progettazione. Ma d’altra parte l’iter progettuale è ancora condotto in termini di resistenza richiesta e la capacità di spostamento, se eventualmente calcolata, è considerata soltanto in fase di verifica.